Alcuni test e tecnologie possono contribuire al completamento diagnostico per l’individuazione e la correzione di eventuali fattori prognostici negativi all’impianto embrionario (RIF), permettendo così a più famiglie di coronare il loro desiderio di famiglia.
Solo un terzo dei cicli considerati fertili culmina in una gravidanza. Il fallimento di impianto embrionario può rappresentare un problema, che nel caso si ripeta più volte può essere devastante per la coppia che effettua terapie per la sterilità.
Le cause del fallimento di impianto embrionario possono essere diverse:
- scarsa qualità embrionaria
- ambiente uterino inappropriato
- scarsa ricettività dell’endometrio materno
- dialogo difettoso tra i due (embrione-endometrio).
I processi che portano all’impianto
L’embrione, circa tre giorni dopo la fecondazione, è formato da 12-16 cellule (morula). Dopo 5-6 giorni all’interno della morula compare una cavità ripiena di liquido, così l’embrione è diventato blastocisti. In natura, in questa fase, l’embrione arriva in cavità uterina dalle tube, dove è avvenuta la fecondazione. Qui dovrà necessariamente “impiantarsi” per sopravvivere.
Allo stesso modo, dopo circa 5 giorni dall’ovulazione anche l’endometrio è pronto a ricevere l’embrione. Tuttavia, l’endometrio umano diventa recettivo alla blastocisti soltanto per un breve periodo di tempo, durante il quale l’impianto è altamente probabile. Tale periodo, detto “finestra d’impianto”, dura circa tre giorni e coincide con la fase secretiva intermedia, precisamente dal 17° al 23° giorno del flusso mestruale, se consideriamo un ciclo regolare.
Come sopra citato, oltre la qualità embrionaria, la recettività endometriale e l’appropriatezza dell’ambiente uterino sono fattori fondamentali dell’impianto.
Test e tecnologie vengono in aiuto
Fortunatamente, nuovi test e tecnologie sono costantemente in fase di sviluppo per aiutare gli esperti della riproduzione a fornire alcune di queste risposte e aiutare i pazienti a trovare la strada giusta per la gravidanza. Di seguito citiamo i test meglio validati a livello scientifico.
ERA test e la finestra di impianto
ERA è l’acronimo di Endometrial Receptivity Analysis (o Array). È un test genetico che utilizza un piccolo campione di tessuto endometriale di una donna per valutare se il rivestimento endometriale è pronto per accettare un embrione impiantante.
Come già enunciato, ogni donna ha una “finestra di impianto” di pochi giorni, che si verifica generalmente dal 17° al 23° giorno del ciclo mestruale. Durante questo periodo, detto fase luteale o secretoria, le ovaie producono progesterone. Il progesterone causa molte modifiche, microscopiche ma importanti, al rivestimento uterino, al fine di creare uno stato perfetto per l’impianto. L’endometrio diventa più spesso e più ricettivo grazie all’azione di progesterone e di molte altre sostanze che vegono prodotte, come le citochine.
In circa l’84% delle donne questa piccola finestra si verifica il giorno previsto. Tuttavia, le ricerche di laboratorio hanno scoperto che il 16% circa delle donne ha una finestra unica che può essere anteriore o successiva alle aspettative. Per i cicli di IVF, ciò potrebbe significare che il trasferimento dell’embrione avviene nel giorno sbagliato, quando la finestra non si è ancora aperta o è già stata chiusa, causando così il fallimento dell’impianto. Utilizzando l’ERA, i medici possono identificare se una “finestra di impianto” di una donna sta accadendo quando ci si aspetta o se è necessario spostare la data di trasferimento per assicurare la migliore “sincronizzazione” tra l’embrione e il rivestimento uterino [1].
Lo specialista preleva il campione di tessuto mediante una procedura nota come biopsia endometriale. Un catetere sottile viene inserito attraverso la cervice nella cavità uterina e uno stantuffo nel catetere viene utilizzato per creare l’aspirazione e prelevare un minuscolo campione del rivestimento endometriale nel catetere. Se i risultati dicono che il tessuto è “non ricettivo”, il test deve essere ripetuto prima o dopo, fino a quando non viene identificato il momento ottimale.
Lo studio del microbioma endometriale
Lo studio del microbioma endometriale si avvale di due test. Il primo esamina il microbioma o il pool di batteri fisiologicamente associato a migliori tassi di gravidanza. Il secondo valuta la presenza di uno stato infiammatorio cronico, causato da batteri patogeni, che ostacola sistematicamente l’impianto, causando ripetuti insuccessi.
Nel caso di alterazione nella presenza di batteri non fisiologici che creano un’infezione o endometrite, gli embrioni trovano condizioni uterine sfavorevoli e non riescono a impiantarsi. In caso di positività a questa situazione, sono indicate terapie con antibiotici per superare lo stato infettivo che ostacola l’impianto [2].
Il razionale
Il razionale alla base di questo test (incluso ERA) si basa sul fatto che, quando il rivestimento endometriale è recettivo, il materiale genetico delle cellule endometriali ha una “espressione” unica. Questo significa che tali cellule possono produrre più o meno determinati tipi di RNA. Essi produrranno, per pochi giorni, sostanze favorenti l’impianto. I ricercatori hanno analizzato l’espressione di 236 geni per campione e costruito un database di campioni di tessuto endometriale per vedere i livelli di RNA prodotti in diversi momenti del ciclo. Utilizzando algoritmi avanzati, vengono cercate le caratteristiche fino a quando non si è in grado di classificare in modo affidabile un campione come “ricettivo” o “non ricettivo” in base ai profili di espressione specifici.
Dosaggio dell’IGFBP1 e della glicodelina
Le Insulin-like Growth Factor Binding Protein-1 (IGFBP-1) sono proteine secrete dall’endometrio. La loro principale funzione è quella di regolare sia la crescita placentare sia quella fetale. La modulazione della loro concentrazione è stata associata alla gravidanza e a patologie fetoplacentari.
Un eccesso di insulina può portare a una riduzione dell’espressione dei geni della glicodelina e di IGFBP-1 riducendo le probabilità di impianto e quindi di fertilità [3].
Dosaggio HLA.G
L’embrione e le cellule materne secernono la proteina sHLA-G (HLA-G solubile). L’espressione embrionale di sHLA-G sembra essere un requisito fondamentale, ma da solo non sufficiente, per l’instaurarsi della gravidanza. Inoltre, una scarsa espressione materna di sHLA-G è stata associata a pre-eclampsia, aborti spontanei ricorrenti e fallimenti delle terapie di fecondazione assistita. Nei lavaggi uterini in donne con infertilità idiopatica sono stati rilevati livelli di sHLA-G più bassi rispetto a quelli nelle donne fertili, suggerendone un importante ruolo nella creazione del microambiente endometriale [4].
La concentrazione della proteina sHLA-G dipende in gran parte dal genotipo del gene HLA-G, in particolar modo da alcune varianti che alterano l’espressione del gene e/o che causano una degradazione maggiore del trascritto. Le differenze nella concentrazione di HLA-G sono quindi in buona parte determinabili dall’analisi del gene HLA-G [5]. Nel quadro della diagnostica di infertilità di coppia, il genotipo paterno e materno vengono stimati per avere un’informazione a priori della capacità di produzione della molecola HLA-G sia da parte della madre sia da parte del feto.
Il test di embriotossicità
ll test di embriotossicità viene effettuato utilizzando embrioni di topo allo stadio di blastocisti, coltivati per 3 giorni in presenza di siero di donna affetta da poliabortività. Lo specialista valuta il numero di embrioni che mostrano “hatching” e “outgrowth“, ovvero che sgusciano fuori dalla zona pellucida e si impiantano sulla capsula di Petri. Il confronto con siero di donna sicuramente fertile permette di definire se il siero della paziente presenta embriotossicità. Questo test sembrerebbe individuare, nel siero della donna, la presenza di una iperproduzione di linfochine e interferoni di tipo Th 1 (interleuchina-1 e interferon-y in particolare), con effetto citotossico, che danneggerebbero l’embrione [6]. La concentrazione sierica di questi peptidi non varia in funzione del ciclo mestruale, di conseguenza è possibile analizzare l’eventuale presenza del fattore embriotossico con un prelievo di sangue effettuato in qualsiasi giorno del ciclo.
Questo esame clinico è stato messo a punto da J. Sargeant alla Oxford University in Inghilterra e successivamente modificato da J. Hill presso la Harvard University negli Stati Uniti.
Gli articoli con i dati dei risultati clinici sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali quali JAMA (Journal of American Medical Association), American Journal of Obstetrics and Gynecology, Fertility and Sterility American Journal of Reproductive Immunology. Questi studi fanno emergere come il 30-40% delle donne con aborto ricorrente presenti positività per il test del fattore embriotossico. Questo avviene senza alcuna correlazione con la presenza di eventuali autoanticorpi o altre possibili cause di aborto. Il test di embriotossicità è stato accettato dalla Food and Drug Administration americana (FDA), massima autorità negli Stati Uniti per il controllo sui farmaci e sugli esami diagnostici, come test clinico da effettuare nelle pazienti affette da aborto ricorrente o da mancato impianto.
Il test viene condotto in modo da usare gli embrioni ottenuti da almeno cinque diversi topi, e almeno 20 blastocisti per paziente. Questo per evitare che il test sia dipendente dall’animale usato e per avere un numero statisticamente significativo di embrioni da valutare nel campione da testare e nel controllo. Questo test consente di individuare un gruppo di pazienti che presentano una anomala risposta immune da linfociti T, che comporterebbe l’eliminazione dell’embrione, e che altrimenti sfuggirebbe ai classici esami clinici generalmente utilizzati nella diagnostica dell’aborto ricorrente. I pazienti positivi per il fattore di embriotossicità generalmente non presentano positività per altri test immunologici, e spesso si giovano di una terapia cortisonica. Un terzo circa dei pazienti negativi a tutti gli altri test risulta positivo alla ricerca del fattore embriotossico. L’esecuzione del test in queste donne permette così un trattamento mirato.
Anche se il test è di non facile esecuzione e ha un costo non indifferente, potrebbe fornire dati essenziali per il trattamento di queste pazienti. Per effettuare il test è sufficiente prelevare sterilmente 5 ml di sangue e ottenere il siero, che deve essere refrigerato e consegnato in giornata o congelato.
Conclusioni
In conclusione, insieme all’imprescindibile valutazione di fattori anatomici, genetici, legati all’età o allo stile di vita, questi test possono ritenersi un utile completamento diagnostico per l’individuazione e la correzione di eventuali fattori prognostici negativi all’impianto.
Bibliografia
- Bassil R, Casper R, Samara N, et al. Does the endometrial receptivity array really provide personalized embryo transfer? J Assist Reprod Genet 2018 Jul;35(7):1301-5.
- Moreno I, Codoñer FM, Vilella F, et al. Evidence that the endometrial microbiota has an effect on implantation success or failure. Am J Obstet Gynecol 2016 Dec;215(6):684-703.
- Nasioudis D, Minis E, Irani M, et al. Insulin-like growth factor-1 and soluble FMS-like tyrosine kinase-1 prospectively predict cancelled IVF cycles. J Assist Reprod Genet 2019 Dec;36(12):2485-91.
- Fuzzi B, Rizzo R, Criscuoli L, et al. HLA-G expression in early embryos is a fundamental prerequisite for the obtainment of pregnancy. Eur J Immunol 2002 Feb;32(2):311-5.
- Rizzo R, Vercammen M, van de Velde H, et al. The importance of HLA-G expression in embryos, trophoblast cells, and embryonic stem cells. Cell Mol Life Sci 2011 Feb;68(3):341-52.
- Delaroche L, Oger P, Genauzeau E, et al. Embryotoxicity testing of IVF disposables: how do manufacturers test? Hum Reprod 2020 Feb 29;35(2):283-92.