La fertiloscopia nella paziente sterile
La fertiloscopia, chiamata anche idrolaparoscopia transvaginale, è una tecnica relativamente recente: la prima, infatti, è stata eseguita nel 1997, in Francia, e da allora si sta diffondendo anche in Italia, dove viene eseguita in pochi Centri. La fertiloscopia è una nuova tecnica diagnostica mininvasiva che costituisce una buona alternativa alla isterosalpingografia nello studio del fattore tubarico di sterilità ed alla laparoscopia diagnostica nella valutazione del fattore tubo-peritoneale in donne senza cause apparenti di sterilità o segni di patologia pelvica. Essa consente la visualizzazione della pelvi posteriore (cioè quella parte della cavità addominale in cui è possibile mettere in evidenza la faccia posteriore dell’utero, le ovaie, le tube e le anse intestinali con il retto), mediante l’introduzione, attraverso il fornice vaginale posteriore, di un’ottica previa anestesia locale.
In particolare, la metodica consta di cinque momenti fondamentali:
1) si inizia con una isteroscopia in vaginoscopia che consente di valutare il canale cervicale, l’utero e gli osti tubatici. Durante l’esame è possibile asportare eventuali anomalie come polipi, fibromi o sinechie di piccole dimensioni o praticare biopsie endometriali;
2) l’idrolaparoscopia transvaginale, il tempo principale della metodica, si esegue introducendo nella pelvi, per via vaginale (esattamente il passaggio è attraverso il fornice vaginale posteriore), un trocar con un introduttore dopo avere precedentemente anestetizzato localmente la zona con mepivacaina. L’esame degli organi pelvici è realizzato in mezzo liquido (soluzione fisiologica sterile) e ciò permette una visualizzazione dettagliata degli organi potendo così evidenziare la presenza di eventuali anomalie. In genere la paziente non avverte dolore in questa fase e può seguire la procedura guardando il monitor. Qualche fastidio è avvertito, invece, per l’applicazione dello speculum (che serve per evidenziare il collo dell’utero) e per l’introduzione del catetere intrauterino per la cromosalpingoscopia;
3) successivamente si effettua la cromosalpingoscopia o prova di pervietà tubarica che si realizza mediante iniezione attraverso l’utero di blu di metilene tramite uno specifico catetere intrauterino che viene introdotto in cavità. Il passaggio del blu dall’utero nella cavità addominale tramite le tube, ci dice se queste ultime sono occluse o pervie, se sono regolari o tortuose;
4) in circa la metà dei casi è possibile effettuare una salpingoscopia, esame che consiste nell’introduzione dell’ottica nel padiglione tubarico allo scopo di esplorare la mucosa tubarica bilateralmente. La tecnica consiste nel passaggio dell’ottica nel padiglione e nell’ampolla di ciascuna tuba per esplorarne l’epitelio;
5) un ulteriore esame di complemento è la microsalpingoscopia, da eseguirsi sistematicamente. Essa consiste, grazie a dispositivi di ingrandimento dell’ottica, nell’esaminare le cellule della mucosa tubarica dopo la prova di pervietà con il blu.
La colorazione dei nuclei delle cellule tubariche permette di apprezzare la capacità funzionale della tuba: più i nuclei sono colorati, meno funzionante è la mucosa.